Benvenuti

Questo spazio è stato pensato per tutti i partecipanti al corso di Museografia e Allestimento, tenuto dal Professor Carlos Basualdo alla Facoltà di Design e Arti, presso lo IUAV di Venezia.

lunedì 16 luglio 2007

Laura Pante e Stefania Filizola...

Questo è il progetto di Laura e Stefania, che ringrazio tantissimo di avermi inviato il materiale necessario alla sua pubblicazione...
le immagini risulteranno abbastanza piccole, ma come sempre potrete cliccarci sopra e vederle ingrandite. Mi dispiace che comunque siano abbastanza faticose da leggere anche una volta ingrandite, ma per motivi di ristrettezze di pixel il server non tollera immagini troppo grandi.
Il loro progetto a detta di tutti è molto interessante e faccio loro grandi complimenti per la qualità...
mancano le note che purtroppo sono raggiungibili attraverso il file.doc dal quale ho preso i testi...con calma cercherò una soluzione a questa mancanza e mi scuso fin da ora con Laura e Stefania.
grazie, giovanna


















Attitudine diagrammatica



“Il diagramma è una possibilità di fatto,
non il Fatto stesso.”
(G. Deleuze, Francis Bacon. Logica della sensazione.)



διαγραμμα : dia attraverso, gramma qualcosa di scritto.
Il diagramma come strumento di indagine teorico – pratica ha accompagnato e messo in forma la nostra ricerca, attraversando e organizzando i testi, le conoscenze e gli approfondimenti acquisiti durante il corso in una sorta di immagine visiva rivolta alla costruzione di una struttura “investigativa” che vuole riflettere su dati concreti, quali lo spazio del museo di Philadelphia e la sua collezione, e sui modi di riflettere, di osservare, di leggere stessi.
Il diagramma come strumento di lettura e di scrittura, di lettura e di progetto, visualizza le relazioni significative fra realtà e sue interpretazioni organizzando e mostrando le possibili evoluzioni, o meglio trasformazioni.
Cosa significa leggere in questa prospettiva progettuale? E cosa significa prospettiva, punto di vista?
Utilizzando un attrezzo grafico come il diagramma è inevitabile confrontarsi con alcuni dati spaziali che implicano concetti architettonico – grafici come il disegno. E’ nel disegno, nella prospettiva centrale, che il punto di vista mette in forma il modo di pensare stesso, un’immagine che stigmatizza una certa solidità, ma anche una certa fissità apriorostica o antropocentrica.
In un progetto che sceglie per il suo svolgersi un attitudine diagrammatica il concetto di prospettiva si collega al concetto di sistema di riferimento e in questo senso al pensiero sotteso all’idea di origine del sistema stesso. Attuando una strategia dinamica quindi l’origine del nostro sistema di riferimento non vuole più appartenere ad un solo piano ma far proprio un movimento che trova nell’idea di attraversamento la sua caratteristica specifica.
“[…] gli uomini sono divenuti totalmente privati, cioè sono stati privati della facoltà di vedere e di udire gli altri, dell’essere visti e uditi da loro. Sono tutti imprigionati nella soggettività della loro esperienza, che non cessa di essere singolare anche se la stessa esperienza viene moltiplicata innumerevoli volte. La fine del mondo comune è destinata a prodursi quando esso viene visto sotto un unico aspetto e può mostrarsi in una sola prospettiva.”
Il tentativo vorrebbe essere quello di costruzione di quel mondo comune inteso come spazio in–fra che si produce mantenendo una visione striata ovvero una molteplicità di punti vista.
Il diagramma ha la funzione di creare un contesto, uno sfondo, nel quale si possano muovere idee, pensieri, persone e in questo caso opere. Esso risulta essere uno spazio di possibilità aperto al lavorio del pensiero che lo percorre e lo organizza per giustapposizioni visive, concettuali diverse come diversi sono i tipi di attraversamento possibili. Esso funziona utilizzando un meccanismo di riduzione e connessione risultando utile anche per una ricerca di ordine storico. In questo senso è stato utilizzato dall’architetto Peter Eisenman nei suoi studi su Terragni nonché nelle sue innovative strategie compositive in ambito architettonico.
Il diagramma quindi permette connessioni, e descrizioni che non rappresentano, ma costruiscono un nuovo tipo di realtà. Questa “macchina astratta” funziona per avvicinamenti successivi, approssimazioni appunto che non sono rivolte alla costruzione di un oggetto, di una soluzione, ma all’organizzazione di un processo conoscitivo, che viene messo continuamente in discussione ed interrogato.
Allo stesso modo la nostra ricerca ha cercato di indagare, attraversare, conoscere un nuovo contesto per farlo proprio e trasformarlo seguendone le caratteristiche ed in-formandolo attraverso le nostre attitudini specifiche. Un tentativo di avvicinamento di approssimazione per non cristallizzare ne bloccare il processo, ma per mostrarlo.
Piegare/spiegare , questo è il movimento che ha in-formato il nostro spazio/contesto d’azione, la struttura architettonica del museo di Philadelphia, e il nostro materiale, la sua collezione permanente.
L’idea di uno spazio ripiegato visualizzato nell’immagine dell’origami descrive, in ultima analisi, il processo che abbiamo seguito cercando di visualizzare le giustapposizioni che portassero con sé un resto al limite di una Wunderkammer barocca.

“La spiegatura non è dunque il contrario della piega, ma segue la piega fino al formarsi di un’altra piega.”




Creare e Preservare

Stefania Filizola


“La poesia non nasce da le regole, se non per leggerissimo accidente, ma le regole derivano dalle poesie, e però son tanti geni e specie de vere regole, quanti son geni e specie de veri poeti. ”
( G. Bruno, Degli eroici furori)


I dati sono sensibili.
Lo spazio resta indifeso.
La struttura resiste senza imporre se stessa.
Il tentativo di riunire un percorso attorno all’arte del secolo appena concluso, all’interno dell’istituzione del museo, sembra porre non pochi interrogativi sulla configurazione temporale da adottare (che non può più essere risolta adottando la comoda scelta cronologica) e sulla possibilità di rintracciare una coesistenza nel rapporto fra modernità e contemporaneità.
Certamente, l’appellativo di “categorie” in relazione ai termini in questione non aiuta allo sviluppo di un ragionamento utile; il tempo, pur con le sue umane cesure, rimane un continuum storico interrotto ed inafferrabile. L’unica categoria applicabile allora: la contemporaneità , questo attimo in cui, qui ed ora, afferriamo i saperi che furono prodotti e sono prodotti; e guardare alla storia per tentare di offrire all’altro una visione nuova e profonda in grado di organizzare questi saperi, assomiglia molto all’azione di scrivere un libro che nasce da una rilettura, cosa più importante per Benjamin della lettura stessa: “Ci sono uomini [...] che propriamente non comprendono mai un libro, perché non lo leggono una seconda volta. Eppure è soltanto allora che - come quando, bussando si esamina una parete e si ottiene qua e là una cupa risonanza - ci si imbatte in tesori che il lettore precedente - che in realtà eravamo noi stessi - vi aveva sepolto” .
E’ un movimento: l’esperienza della conoscenza.

I residui di una visione fortemente ancorata al concetto di modernità si esauriscono soltanto tra la seconda metà degli anni cinquanta e i primi anni sessanta: quando, dall’Action Painting alla Pop Art, una forte iniziativa artistica nordamericana ha riarticola l’area internazionale dell’arte contemporanea.
Questa ristrutturazione valorizza una varietà di centri di produzione, di prodotti, flussi informativi e tradizioni storiche e metodologiche che accentuano la coscienza delle realtà artistiche dal 1905 in poi. Viene così immessa in circolo, e legittimata, tutta la gamma dei rapporti (anche di estraneità) delle diverse aree ed espressioni artistiche con il “moderno”.
E' difficile individuare, dagli anni cinquanta in poi, correnti o movimenti omogenei e programmati, così come è difficile, se non impossibile, applicare alle arti visive, e non solo ad esse, gli stessi parametri di giudizio fino ad allora usati in quegli anni.
I primi segni di una contestazione compaiono ad opera del critico americano Harold Rosenberg, contro il modernismo inteso come disimpegnato scivolamento di forma nuova in forma nuova. Vent’anni dopo Robert Hughes veniva ad offrire al dibattito la visione d’un ottundimento della capacita di urto del nuovo: “Tutta l’arte, in un modo o nell’altro, è situata nel mondo e spera di agire da catalizzatore tra l’io e il non-io. Il grande progetto del modernismo è stato di moltiplicare i modi per cui ciò fosse possibile. Ma ogni visione che insiste nel collocare il significato dell’arte nella facoltà di fare ciò che ancora non è stato fatto, tende a rifiutare i vantaggi dello spirito modernista. Scambia le pastoie ideologiche e l’angustia storicistica per il discorso aperto e ansioso che i nostri padri culturali ci hanno lasciato […] Forse le grandi energie del modernismo sono ancora latenti nella nostra cultura, come l’arco di Ulisse nella casa di Penelope. Ma sembra che nessuno sia in grado di tenderlo”. E ancora: “Quando si parla di fine del modernismo, e ormai non è più possibile evitare di farlo, visto che l’idea che siamo in una cultura postmoderna è diventato un luogo comune nella metà degli anni sessanta, non si vuole suggerire l’idea di un improvviso capolinea della storia. Le vicende non si spezzano in modo netto come una bacchetta di vetro; si logorano, si sfilacciano. Non ci fu un anno preciso in cui finì il Rinascimento. Ma finì, anche se la cultura è ancora permeata dai residui attivi del pensiero rinascimentale […] I risultati del modernismo continueranno a influenzare la cultura almeno per un altro secolo perché sono stati imponenti e convincenti. Ma la sua dinamica è finita e il nostro rapporto con esso sta diventando archeologico […] L’età del Nuovo è entrata nella Storia. Come quella di Pericle” .
Il diagramma di Alfred Barr pensato in occasione della mostra “Cubism and Abstract Art” nel 1936 ci mostra come, attraverso un ordine cronologico disposto verticalmente, una serie di definizioni di movimenti e correnti e si influenzino e si incrocino nel loro spiegarsi temporale; la conclusione risiede qui nella fissazione finale di una formula che vede la contrapposizione di astrazione geometrica e astrazione non - geometrica. Tutto è teso dunque verso la predizione di un futuro da farsi, da anticipare e da desiderare: un risultato.
In realtà la storia, depurata dagli aspetti messianici, è un processo. E’ un divenire ancora aperto. E il superamento di ciò che noi andiamo chiamando modernità lo possiamo raccogliere proprio in questo gesto di spostamento attuato verso i processi e che mostre come “When attitudes become forms”, “Information” e “Documenta 5” hanno saputo ben stigmatizzare.
Un diagramma per progettare una mostra dunque può costituire uno strumento per visualizzare e comprimere molteplici aspetti, a patto che, si liberi il suo aspetto proliferativi creando la scenografia ideale su cui adagiare gli artisti individuando le spinte, le ragioni e le prese di ogni ricerca.
Il diagramma qui proposto e costruito sulla base dei dati offerti dal Museo di Philadelphia per la riorganizzazione della collezione moderna e contemporanea, non intende imporre la sua risposta ma instancabilmente ancora continuare a demandare; il tempo non si stende verticalmente per segnare una gerarchia ma si condensa in un movimento di giustapposizioni e approssimazioni. La chiave adottata di una possibile convivenza fra opere appartenenti alle diverse epoche non dissolve la questione in un indistinto spettacolarizzante ma, attraverso la sua ipotesi di spazializzazione e ricognizione storica, procede verso la promessa di una reale esperienza offerta allo spettatore.
Pensare che dall’area del moderno possano confluire alcune opere nello spazio centrale ancora in via di progettazione, come “nuclei o cellule osmotiche” in grado di contaminare l’esistente, ci permette di riprodurre il punto di vista dell’artista che agisce sempre in un tessuto di connessioni volontarie e non con il passato, nonché la possibilità di tracciare attraversamenti che sollecitino lo spettatore ad uno sforzo di ricostruzione e riorganizzazione verso la conquista di una maggiore consapevolezza dei contenuti.
E alla fine, forse, non sapremo mai dove il desiderio dell’opera di collocarsi nello spazio istituzionale finisce, per far sì che lo sguardo si posi su un luogo della mente che non c’è e che là attende per essere ancora creato.





































1 commento:

Anonimo ha detto...

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